Sostenibili, ma in silenzio: con il “greenhushing” le aziende scelgono di non parlare delle loro iniziative… – Corriere della Sera
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Se ci eravamo oramai abituati al termine greenwashing, per indicare la strategia di comunicazione ingannevole che valorizza con finti impegni la reputazione ambientale di un’impresa, comincia ora a prendere gradualmente piede la parola greenhushing, il cosiddetto silenzio verde, ovvero la mancata comunicazione pubblica delle aziende rispetto alle iniziative sostenibili attivate. «Si tratta di una tendenza messa già in evidenza lo scorso anno dall’annuale report “Net Zero” del gruppo internazionale South Pole», ha spiegato Elisa Riva, responsabile marketing e comunicazione di Carbonsink, società italiana di consulenza specializzata in strategie climatiche per le aziende, da due anni entrata in South Pole. «Portiamo le aziende a impostare un percorso climatico solido facendo riferimento a standard internazionali», ha aggiunto.
Dopo il “greenwashing” arriva un nuovo rischio: secondo il gruppo di consulenza South Pole, in molti non pubblicizzano le proprie azioni a favore dell’ambiente per le incertezze normative e i timori di critiche. Ma ci sono anche esempi virtuosi
«Il report ha evidenziato che un quarto delle aziende analizzate, nonostante avessero impostato un percorso climatico solido, non intendevano parlarne. Una tendenza che anche nel report 2024 è stata purtroppo confermata». L’ultimo studio, infatti, che ha preso in esame oltre 1.400 aziende dotate di figure dedicate alla fun- zione di sostenibilità in 12 paesi e 14 settori, ha rilevato che la maggior parte delle aziende intervistate in 10 dei 14 settori principali dell’economia sta riducendo intenzionalmente le proprie comunicazioni sul clima. Ci sono inoltre colossi bancari, come Jp Morgan e State Street Global, che pochi giorni fa hanno deciso di uscire dal Climate Action 100+, la piattaforma statunitense per ridurre l’impatto carbonico e raggiungere gli obiettivi ambientali con strategie proprie e approcci più flessibili.
Il ruolo delle incertezze normative
Cosa sta cambiando? Perché le aziende scelgono sempre più di non pubblicizzare le proprie strategie per gli obiettivi climatici e riducono o interrompono deliberatamente le comunicazioni esterne su questo tema? Esiste, infatti, un chiaro disallineamento tra la convinzione delle aziende sul valore della comunicazione dei propri obiettivi climatici e la loro fiducia nel farlo. Nonostante la stragrande maggioranza (l’81 per cento) delle società ritenga che comunicare i propri obiettivi net zero sia positivo per i profitti, per quasi la metà di tutte le aziende intervistate (il 44 per cento), parte delle motivazioni della contraddizione in atto va rintracciata nella mancanza di chiarezza dei cambiamenti normativi. «Le normative sono percepite adesso come motivo di incertezza», ha sottolineato Riva: «Sta per essere implementata, ad esempio, la rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive — Csrd), si attende la versione definitiva della direttiva per il green claim, i questionari di Cdp (ex Carbon Disclosure Project), tante iniziative che possono generare in un’azienda un senso di spaesamento che la porta a preferire il silenzio». A questo si aggiunge anche una maggiore consapevolezza delle persone sui temi della sostenibilità che le porta a essere più attente e a verificare gli obiettivi annunciati delle società, che ritengono i loro obiettivi net zero centrali per il successo commerciale. Quasi la metà (46 per cento) di tutte le aziende intervistate ha infatti affermato di stare perseguendo l’obiettivo net zero per soddisfare le richieste dei clienti, ma anche per migliorare la gestione del rischio lungo la catena di fornitura (39 per cento).
Un fenomeno passeggero?
Un ulteriore motivo che favorisce il fenomeno del greenhushing è il timore dello scrutinio degli investitori, indicato in modo univoco sia dalla maggioranza delle aziende di servizi ambientali che da quelle del settore petrolifero e del gas (rispettivamente 51 e 57 per cento). Ma questo momento di “silenzio stampa” potrebbe essere solo passeggero. È possibile, infatti, che si tratti solo «di un “silenzio” aziendale prima della tempesta (normativa), che inevitabilmente richiederà a tutti di comunicare il proprio impatto climatico e i progressi verso gli obiettivi net zero», aveva sottolineato John Davis, ceo ad interim di South Pole, commentando i dati del report. «Il nostro suggerimento alle aziende è raccontare passo passo ciò che viene fatto per i target a disposizione, che sono stati verificati e certificati da terzi», ha aggiunto Riva. «Sarebbe controproducente non comunicare affatto. Solo con una corretta condivisione di informazioni si possono ottenere buoni risultati, innescando meccanismi virtuosi nei confronti di altre aziende e incentivando la transizione necessaria per raggiungere gli obiettivi definiti dall’accordo di Parigi».
L’esempio di Pirelli
Tra le società seguite da Carbonsink che meglio rispecchiano un modello virtuoso compare Pirelli. Nonostante il settore dell’automotive non sia certo tra i più green al mondo, la società ha intrapreso un solido percorso di sostenibilità partendo anni fa dalle misurazioni e determinando target allineati alla scienza. Ha lavorato sia sulla comunicazione interna, coinvolgendo tutti i dipendenti e i responsabili di dipartimenti, sia su quella esterna, anche con progetti di formazione ai distributori prima di passare al consumatore finale. Inoltre si occupa della comunicazione della parte di ricerca e sviluppo riguardo materiali e processi produttivi sempre più sostenibili, oltre alla parte di prodotto. L’azienda manifatturiera comunica la sostenibilità a 360 gradi riguardo le persone, il pianeta e la mobilità, riportando i rispettivi obiettivi sul proprio sito, dove si possono trovare anche tutti i riconoscimenti ricevuti. Forte della convinzione che la sostenibilità è un elemento sempre più strategico e un percorso di lungo periodo, Pirelli vuole spingersi oltre. Una parte del nuovo claim di sostenibilità dell’azienda recita, in- fatti, “we have to do more” (dobbiamo fare di più).
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March 22, 2024 at 09:44AM