Sostenibilità e governance delle PMI: l’analisi dei commercialisti – Ipsoa
https://ift.tt/LGc2Z1x
Il documento del CNDCEC “Sostenibilità, governance e finanza dell’impresa” analizza la relazione tra la sostenibilità e la governance delle PMI. L’obiettivo è fornire spunti di riflessione per l’adeguamento dei rapporti dell’impresa con gli stakeholder in rapporto ai nuovi rischi che l’organizzazione è chiamata a gestire per garantire il rispetto dei requisiti ESG, importanti ai fini del consolidamento della continuità aziendale. Qual è il ruolo che assumerà la professione del commercialista e come vanno adeguati i processi di pianificazione strategica e finanziaria in funzione di una più attuale concezione del rischio d’impresa?
Il documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili pubblicato l’8 marzo (“Sostenibilità, governance e finanza dell’impresa”), mira ad analizzare la relazione tra i temi di sostenibilità (ESG) e la governance delle PMI, anche per una rimodulazione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili (OAC) e per potenziare così le connessioni dell’impresa con i vari stakeholder e, tra questi, e il sistema bancario.
Ciò nel presupposto che i temi ESG siano centrali ai fini del consolidamento della continuità aziendale e nella valutazione dell’impresa.
Più in dettaglio, il documento si concentra sulle connessioni tra i principi di corretta amministrazione (ed i connessi assetti OAC) ed i fattori ESG, con particolare riferimento agli sviluppi normativi in materia di finanza sostenibile, di reporting di sostenibilità e di governance sostenibile delle imprese di piccole e medie dimensioni.
Il documento evidenzia preliminarmente che i fattori ESG hanno assunto una rilevanza centrale nelle attività di regolamentazione (PNRR e CSRD) volta ad individuare i requisiti nei vari ambiti dell’organizzazione aziendale idonei ad una crescita sostenibile dell’impresa.
Il documento si sofferma poi sui rapporti tra sostenibilità ed evoluzione della gestione delle imprese con le correlate esigenze di disclosure per la migliore trasparenza ed intellegibilità informativa anche dele PMI.
La regolamentazione sulla sustainability disclosure sta divenendo sempre più articolata in Europa (dopo l’approvazione della direttiva UE n. 2022/2464, direttiva CSRD) ed anche in molti Paesi extra-europei (con il perfezionarsi delle tante iniziative normative in atto nelle altre giurisdizioni in materia di disclosure, investimenti sostenibili e governance aziendale).
Leggi anche
A livello globale, i sistemi normativi stanno ridefinendo la governance societaria in considerazione della rilevazione e della gestione dei “sustainability risks” accanto ai tradizionali impatti di natura economico-finanziaria.
Nel nostro Paese, il concetto di successo sostenibile, introdotto anche nel Codice di Corporate governance 2020 e sostenuto dal richiamo costituzionale alla tutela ambientale anche nell’interesse delle future generazioni (art. 9, co. 3) e alle finalità sociali e ambientali dell’attività economica pubblica e privata (art. 41, co. 3), è adottato nella maggior parte delle società quotate, così come il concetto di “beneficio comune” sta pervadendo vari ambiti imprenditoriali.
Come evidenziato nel documento in esame, il nuovo articolo 41 Cost. va oltre l’individuazione della tutela dell’ambiente come un interesse pubblico prevalente che si impone ai soggetti privati dall’esterno, conformandone l’attività e limitandone la libertà di iniziativa economica.
Il predetto articolo orienta le imprese verso una internalizzazione delle esigenze ambientali nel contesto delle proprie finalità di impresa che non sono più rivolte solo alla massimizzazione del profitto, ma volte a raggiungere obiettivi di sostenibilità o di responsabilità sociale di impresa.
Il nuovo articolo 41 Cost. va oltre l’individuazione della tutela dell’ambiente come un interesse pubblico prevalente che si impone ai soggetti privati dall’esterno, conformandone l’attività e limitandone la libertà di iniziativa economica.
L’evoluzione del contesto normativo influisce sul sistema economico generale che si sta finalmente accorgendo della necessità di dover adeguare i propri modelli di business alle esigenze di sostenibilità per garantire la competitività e la continuità aziendale.
L’ampliamento dello scopo sociale che deve tenere conto anche dell’interesse generale e le caratterizzazioni ed i rischi ESG stanno acquisendo una crescente valenza nei profili strutturali ed operativi delle imprese e gli assetti delle stesse.
Di conseguenza, anche l’adeguatezza degli assetti societari deve essere interpretata tenendo conto del fine sociale ampliato anche al perseguimento di finalità di interesse generale e dei fattori ESG, ripensando opportunamente i presidi ed i meccanismi di governance e controllo in merito, valutando e mitigando gli eventuali impatti dei fattori ambientali, sociali e di governance ai fini della mitigazione degli eventuali impatti dei fenomeni ESG sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico/finanziario dell’azienda, nel medio e lungo periodo.
Più in generale, la riflessione che viene sviluppata nel documento riguarda il ruolo della governance d’impresa che, negli ultimi tempi, sta subendo una evoluzione innovativa rispetto al radicamento della sostenibilità aziendale nell’individuazione e gestione dei principali rischi e nella predisposizione del sistema dei controlli interni.
Infatti, tanto nell’ordinamento quanto nella prassi sta aumentando la correlazione tra il modello di governance (come driver per l’attuazione e la diffusione della strategia di sostenibilità) e la sua integrazione nella strategia complessiva dell’impresa.
Il documento in commento rappresenta, inoltre, come non si possa trascurare l’impatto nel sistema economico della riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, con la quale ai fattori ESG si è riconosciuto il ruolo cruciale e integrante nello sviluppo del ciclo di vita dell’azienda.
Al riguardo, viene evidenziato che la rilevanza delle informazioni non finanziarie sia per la previsione della crisi che per la valutazione della continuità aziendale è già presente nell’evoluzione dell’ordinamento dell’UE inerente alla concessione del credito e, in generale, alle politiche d’investimento, specialmente nel filone della regolamentazione sulla sustainable finance.
Qual è il ruolo dei commercialisti per la sostenibilità e nelle PMI
Il documento ricorda che i sistemi economici e produttivi sono generalmente composti da innumerevoli PMI e che la platea degli stakeholder, sempre più esigenti, si estenda ad una porzione rilevante di soggetti componenti la società civile.
Le PMI sono interessate, anche indirettamente, dalle nuove norme in materia di sustainability reporting e di sustainable governance nelle vesti di soggetti operanti nella supply chain di imprese obbligate a tali previsioni.
Pertanto, anche se non direttamente obbligate, le stesse PMI devono attrezzarsi per identificare, raccogliere e fornire una serie di informazioni per mitigare il rischio che primari committenti possano orientarsi verso altri operatori i quali, ai fini della compliance normativa, garantiscano loro gli input informativi di cui necessitano.
Inoltre, ricorda il documento, oltre all’indicazione dei benefici derivanti dall’adozione di comportamenti di sustainability management, il tema della sostenibilità è essenziale anche ai fini sul reperimento di risorse finanziarie.
Infatti, sarà necessario rendere l’impresa riconoscibile rispetto alle iniziative di sostenibilità attuate, perché risultino compliant ai requisiti di elevati rating ESG, condizione sempre più diffusa, e in molti contesti, requisito imprescindibile, per ottenere linee di credito e per accrescerne i massimali.
Al riguardo, un ruolo insostituibile sarà assunto dai dottori commercialisti che interverranno nel rapporto tra imprese e settore creditizio con forme di consulenza tecnica più evoluta.
Come evolve il concetto di rischio
Un concetto centrale che costituisce fattore comune a tutti gli aspetti trattati nel documento è quello del “rischio” che subisce un’evoluzione per tenere conto degli impatti esogeni all’impresa rispetto alle variabili (e fattori di rischio) “E” e “S” della sigla “ESG”, sui fronti produttivo, sociale e ambientale e in aree geografiche anche molto distanti tra loro.
Tale evoluzione, ricorda il documento, nel maggio del 2022 ha portato il World Economic Forum a ridefinire la geografia dei rischi globali e ad includere in quelli geopolitici non soltanto le variabili strettamente connesse al climate change ma anche, e soprattutto, i fenomeni sociali.
Questi fattori, rispetto alla cui gestione la governance costituisce più un elemento funzionale e strumentale in quanto basato sugli assetti OAC che, a loro volta, si fondano sul risk approach e sul sistema dei controlli quali elementi essenziali per una corretta amministrazione dell’impresa, sono concatenati agli eventi geopolitici, che tanto incidono invece sulla vita sociale e sulla continuità aziendale.
Nello scenario attuale, ricorda lo studio del CNDCEC, occorre quindi valutare due fattori che esercitano la propria influenza sulla definizione del concetto di rischio, e dunque sia sulla “sostenibilità dell’impresa” sia sulla “sostenibilità del sistema”:
a) il primo è l’estrema “variabilità” del suo perimetro in un ristretto margine temporale;
b) il secondo è la straordinaria “complessità” della sua potenziale natura, legata all’imprevedibilità delle condizioni ambientali o all’irrazionalità di determinate scelte economiche o politiche da cui può trarre origine.
Su questi due fattori occorre svolgere una fondamentale funzione di controllo, il cui esercizio richiede non solo le tradizionali competenze tecniche, ma anche una serie di conoscenze trasversali idonee ad analizzare situazioni di rischio sistemico e di gestione aziendale, anche a prescindere da specificità settoriali, merceologiche o dimensionali.
Ciò implica un’evoluzione anche delle professionalità dei dottori commercialisti che dovranno essere adeguate ai nuovi scenari.
Ad esempio, per intercettare quei rischi geopolitici transnazionali al fine di ridurne i potenziali contraccolpi nei rapporti economici e commerciali, presidiando così indispensabili condizioni di continuità e sviluppo aziendale, sarà necessario adottare approcci “olistici”, tra cui l’“integrated thinking”.
Tale approccio intende svilupparsi in un’ottica complessiva, in cui considerare ciascun fattore ESG come integrato nel processo complessivo e, al contempo, ripensare strategicamente l’impresa e il suo modello di business anche nell’alveo dei fattori ESG.
Il pregevole documento del CNDCEC raccoglie una serie di riflessioni volte ad adeguare l’organizzazione dell’azienda ed i processi di pianificazione strategica e finanziaria in funzione di una più attuale concezione della gestione della complessità e del rischio d’impresa, per attuare quell’auspicata transizione verso modelli gestionali innovativi sostenibili.
Tali riflessioni possono essere di ausilio alle imprese ed ai professionisti che operano a loro supporto per fornire un prezioso contributo a questa fase di transizione ed evoluzione, anche ai fini della migliore definizione degli OAC, del controllo e della gestione dei rischi (anche quelli connessi ai fattori ESG), del supporto ai fini della creazione di valore sostenibile anche nel medio-lungo periodo e, in definitiva, della continuità aziendale.
Copyright © – Riproduzione riservata
March 22, 2024 at 07:15AM