La presenza diffusa delle microplastiche nell’ambiente è passata dall’essere una questione ecologica a diventare una potenziale minaccia per la salute pubblica. Un recente studio pubblicato su Nature Medicine, condotto dal team della University of New Mexico Health Sciences, ha portato alla luce dati allarmanti sulla presenza di microplastiche nel nostro cervello.
I ricercatori, guidati dal professor Matthew Campen, hanno analizzato 52 campioni di tessuto cerebrale umano prelevati post-mortem tra il 2016 e il 2024. Utilizzando tecniche avanzate di microscopia elettronica, sono riusciti a individuare particelle piccolissime, inferiori ai 200 nanometri, capaci di attraversare la barriera emato-encefalica, quel filtro biologico che dovrebbe proteggere il nostro sistema nervoso centrale da sostanze dannose.
Nei campioni utilizzati, è emerso che le microplastiche rappresentavano in media lo 0,48% del peso del tessuto. Va però precisato che queste particelle non si accumulano in un punto preciso del cervello, ma sono distribuite in modo diffuso.
Un altro dato che ha colpito i ricercatori, è stato che nel periodo preso in esame tra il 2016 e il 2024, la concentrazione di microplastiche nei cervelli analizzati è cresciuta del 50%. Sono stati identificati 12 diversi tipi di polimeri, tra cui il polietilene – usato comunemente per bottiglie, sacchetti e imballaggi – risultava essere il più presente.
Tra gli aspetti più delicati emersi dallo studio, c’è la possibile correlazione tra l’accumulo di microplastiche e le malattie neurodegenerative. I pazienti affetti da demenza presentavano infatti concentrazioni fino a 10 volte superiori rispetto a quelli senza patologie neurologiche. Anche se non c’è una prova di causalità diretta, i ricercatori non escludono che le microplastiche possano contribuire alla degenerazione neuronale.
Come fanno queste microplastiche a raggiungere il cervello?
Le vie principali sono l’ingestione – attraverso cibo e acqua, inclusa quella in bottiglia che può contenere fino a 94 microgrammi di plastica per litro – e l’inalazione, data la presenza crescente di particelle anche nell’aria. Esiste poi la possibilità ancora da confermare, di un assorbimento attraverso la pelle. Una volta entrate nel flusso sanguigno, grazie alle loro minuscole dimensioni e alla natura idrofobica, alcune di queste particelle riescono a superare le difese fisiologiche del cervello.
Ed è proprio il cervello a rivelarsi particolarmente esposto. Ha un metabolismo altissimo, una composizione ricca di lipidi — che attraggono composti plastici — e rispetto ad altri organi come fegato o reni, dispone di meccanismi di eliminazione molto meno efficaci, soprattutto contro particelle solide o non solubili.
Le conseguenze per la salute, anche se ancora non del tutto chiare, potrebbero essere significative. In passato le microplastiche sono già state associate a patologie cardiovascolari, infiammatorie e oncologiche, oggi sappiamo che potrebbero rappresentare un rischio anche per la nostra salute mentale e cognitiva.
Di fronte a queste evidenze, è chiaro quanto siano indispensabili interventi concreti e consapevoli anche nella quotidianità.
Serve un maggior impegno collettivo, ad esempio sostenendo iniziative come Plastic Free che ogni giorno con l’impegno di moltissimi volontari, si prodiga per rendere il nostro pianeta di più pulito. Serve più ricerca e una maggiore consapevolezza pubblica, al fine di ridurre il più possibile l’esposizione del nostro corpo ai molteplici residui inquinanti che ci circondano.